OGGETTO: Articolo 10 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120. Chiarimenti interpretativi.
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Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti
Il Ministro per la Pubblica Amministrazione
Alla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome
All’Unione delle Province d’Italia
All’Associazione Nazionale Comuni Italiani
Al Dipartimento per le Infrastrutture, i Sistemi Informativi e Statistici
Ai Provveditorati Interregionali per le Opere pubbliche
Oggetto: Articolo 10 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120. Chiarimenti interpretativi.
Il recente decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 (“Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”), ha introdotto, fra le misure finalizzate alla semplificazione e all’accelerazione delle procedure amministrative in vista del rilancio delle attività economiche e produttive, numerose modifiche al testo unico dell’edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Tali modifiche, contenute nell’articolo 10 del decreto-legge, investono tutti i settori dell’attività edilizia e alcune di esse sono di immediato impatto per le imprese che devono predisporre i progetti e avviare la necessaria interlocuzione con le Amministrazioni competenti.
In particolare, si è intervenuto in modo sostanziale sia sull’articolo 2-bis, comma 1-ter, del testo unico, in tema di rispetto della disciplina delle distanze tra edifici in caso di interventi di demolizione e ricostruzione di edifici già esistenti (comma 1, lettera a), del citato articolo 10), e sia sulla definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del medesimo testo unico, con specifico riguardo sempre agli interventi di demolizione e ricostruzione di immobili preesistenti (comma 1, lettera b), dell’articolo 10).
La presente circolare è intesa a fornire primi chiarimenti interpretativi sulle disposizioni dianzi citate.
1. Premessa: il diverso ambito di applicazione dell’articolo 2-bis, comma 1-ter, e dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001.
Le modifiche apportare all’articolo 2-bis, comma 1-ter, e all’articolo 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. n. 380/2001 rispondono a due esigenze concorrenti, che hanno inciso profondamente anche sull’iter di formazione delle norme medesime: da un lato, la volontà di introdurre previsioni volte a rendere in via generale più semplice e rapido l’avvio dell’attività edilizia; dall’altro, l’esigenza di assicurare in ogni caso la salvaguardia e il rispetto di valori considerati preminenti dall’ordinamento, segnatamente la tutela dei beni culturali e del paesaggio latamente inteso.
Tali esigenze concorrenti, del resto, corrispondono alla più generale ispirazione dell’intero decreto-legge n. 76/2020, quale espressa nella sua premessa, laddove si enuncia l’intento del legislatore di “realizzare un’accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture attraverso la semplificazione delle procedure in materia di contratti pubblici e di edilizia, operando senza pregiudizio per i presidi di legalità”.
Per questo, e per meglio cogliere l’incidenza delle predette esigenze nella lettura e applicazione delle disposizioni sopra indicate, occorre preliminarmente chiarirne i rispettivi ambiti di applicazione.
In particolare, è necessario considerare che, mentre l’articolo 3 del testo unico è norma intesa a dettare le definizioni degli interventi edilizi in via generale ed ai fini dell’applicazione dell’intera disciplina dell’edilizia, l’articolo 2-bis (a suo tempo introdotto nel d.P.R. n. 380/2001 dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98) è finalizzato a regolare la specifica ipotesi nella quale, in occasione di un intervento di demolizione e ricostruzione di edificio preesistente, insorgano problemi inerenti al rispetto di norme in materia di distanze tra edifici (siano esse contenute nell’articolo 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, o in qualsiasi altra normativa).
Pertanto, appare opportuno procedere in via preliminare alla disamina delle modifiche apportate all’articolo 3, comma 1, lettera d), del testo unico, stante la sua più ampia portata precettiva, e solo successivamente illustrare quelle che riguardano il comma 1-ter del citato articolo 2-bis.
2. Le modifiche alla definizione di ristrutturazione edilizia.
2.1. La definizione di “ristrutturazione edilizia” contenuta nella lettera d) del comma 1 dell’articolo 3, quale risultante dalle modifiche apportate dal d.l. n. 76/2020 e dalla legge di conversione, fa riferimento a “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.
Le innovazioni significative apportate alla disposizione previgente sono quindi:
a) la sostituzione del riferimento ai semplici interventi di “demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica” con la più articolata previsione per cui rientrano nella ristrutturazione edilizia “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”;
b) l’aggiunta di un ulteriore periodo per cui i medesimi interventi di demolizione e ricostruzione possono prevedere, “nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”;
c) un maggior rigore della previsione relativa agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del d.lgs. n. 42/2004: mentre in precedenza la demolizione e ricostruzione di detti immobili poteva qualificarsi come ristrutturazione edilizia solo ove ne fosse rispettata la sagoma originaria, oggi si richiede il mantenimento di “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche” e si precisa che non devono essere previsti incrementi di volumetria;
d) l’equiparazione agli edifici vincolati ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 di quelli ubicati nelle zone omogenee A e in quelle ad esse assimilabili in base ai piani urbanistici comunali, nonché “nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico”, fatte salve “le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici”.
2.2. La modifica di cui sub a) amplia l’area degli interventi ricadenti nella nozione di ristrutturazione edilizia, individuando i parametri la cui modifica – a differenza di quanto previsto dalla previgente disciplina – non risulta rilevante ai fini della qualificazione di un intervento di demolizione e ricostruzione come ristrutturazione edilizia, piuttosto che come nuova costruzione.
In particolare, la giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2019, n. 6666; Tar Napoli, sez. II, 10 giugno 2020, n. 2304; Tar Puglia - Lecce, sez. III, 3 febbraio 2016, n. 233) aveva evidenziato come, dopo la novella operata col già citato decreto-legge n. 69/2013, che aveva eliminato il vincolo dell’identità di sagoma in precedenza previsto dalla norma, dovessero considerarsi rientranti nella ristrutturazione edilizia anche gli interventi di demolizione e ricostruzione comportanti modifiche della sagoma e/o del sedime rispetto all’edificio preesistente. Tuttavia, veniva precisato che, comunque, il nuovo edificio dovesse porsi in sostanziale continuità con quello preesistente, conservandone le caratteristiche planivolumetriche e architettoniche (Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2016, n. 5106).
La novella apportata alla definizione dal decreto-legge n. 76/2020 determina, con tutta evidenza, il superamento di tali limitazioni, potendo ormai rientrare nella nozione di ristrutturazione – salvo quanto si dirà in ordine agli edifici vincolati - qualsiasi intervento di demolizione e ricostruzione anche con caratteristiche molto differenti rispetto al preesistente, salvi i limiti volumetrici che saranno appresso richiamati. In effetti, al riferimento a sagoma, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche il legislatore aggiunge anche quello ai “prospetti”, la cui modifica nel regime normativo anteriore comportava la qualificazione dell’intervento in termini di ristrutturazione “pesante”, con conseguente soggezione al regime del permesso di costruire.
Incidentalmente, si evidenzia che, con un’ulteriore innovazione apportata alla lettera b) del comma 1 del medesimo articolo 3 del testo unico dallo stesso d.l. n. 76/2020, la modifica dei “soli prospetti” costituisce oggi intervento di manutenzione straordinaria, sottoposto al regime della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) ai sensi del successivo articolo 22, laddove:
- la modifica sia necessaria per mantenere o acquisire l’agibilità di un edificio legittimamente realizzato ovvero per l’accesso allo stesso;
- l’intervento non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, sia conforme alla vigente disciplina urbanistica e non pregiudichi il “decoro architettonico” dell’edificio.
Quanto alle modifiche apportate alla lettera d) del comma 1 dell’articolo 3, occorre precisare che il riferimento alle “caratteristiche tipologiche” dell’edificio preesistente va letto in stretta correlazione col richiamo agli “elementi tipologici” contenuto nella definizione di restauro e risanamento conservativo di cui alla lettera c) del medesimo articolo 3 (che in parte qua riproduce la nozione introdotta dall’art. 31, comma 1, lettera c), della legge 5 agosto 1978, n. 457). Pertanto, si tratta di una nozione da non sovrapporre a quella di destinazione d’uso dell’edificio – la quale è stabilita dal titolo abilitativo sulla base delle norme urbanistiche di riferimento – e che ha un contenuto al tempo stesso architettonico e funzionale, individuando quei caratteri essenziali dell’edificio che ne consentono la qualificazione in base alla tipologia edilizia (p.es. costruzione rurale, capannone industriale, edificio scolastico, edificio residenziale etc.).
Il richiamo ai parametri introdotti dal decreto-legge n. 76/2020 (sagoma, sedime, prospetti, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche) assume rilievo, a contrario, per quanto riguarda il regime degli edifici sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 ovvero ubicati in zona A e assimilate, laddove l’eventuale modifica di tali parametri comporta l’impossibilità di ricondurre l’intervento alla categoria della ristrutturazione edilizia e il suo assoggettamento al regime autorizzatorio delle nuove costruzioni (fatte salve, per la seconda categoria di edifici sopra indicati, le diverse previsioni di legge o degli strumenti urbanistici, come meglio in appresso precisato).
2.3. Un’ulteriore novità attiene alla possibilità di incrementi di volumetria non solo “per l’adeguamento alla normativa antisismica”, ma anche “per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”.
A tale riguardo, si evidenzia che, secondo l’orientamento della giurisprudenza, la riconducibilità a ristrutturazione edilizia è da escludere in presenza di qualsivoglia intervento di demolizione e ricostruzione comportante incrementi volumetrici rispetto al preesistente, anche laddove questi fossero determinati dall’inserimento di impianti o servizi, salvi i casi, espressamente previsti, di aumenti imposti dalla normativa antisismica, (Tar Lazio - Latina, sez. I, 11 giugno 2015, n. 472).
Una parziale attenuazione di tale rigore si registra solo qualora detti incrementi si rendano necessari al fine di assicurare il rispetto della normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, limitatamente alla previsione di volumi tecnici quali i vani ascensore (Tar Abruzzo - Pescara, sez. I, 9 aprile 2018, n. 134; Tar Campania - Salerno, sez. I, 9 aprile 2018, n. 134).
La previsione odierna supera tali indirizzi, consentendo che gli interventi di demolizione e ricostruzione soggiacciano al regime della ristrutturazione edilizia anche qualora comportino incrementi volumetrici, purché giustificati dal rispetto delle normative dianzi richiamate (e sempre che, ovviamente, non si tratti di edifici vincolati ovvero ricadenti in zona A o assimilate, fatte salve per questi ultimi le diverse previsioni legislative o degli strumenti urbanistici).
Un’ulteriore possibilità di apportare incrementi alla volumetria dell’edificio preesistente deriva dall’espressa salvezza delle previsioni legislative e degli strumenti urbanistici che contemplino siffatti incrementi per finalità di “rigenerazione urbana”.
Pertanto, la deroga non è estesa a qualsiasi disposizione che consenta incrementi volumetrici (p.es. in funzione premiale o incentivante), ma vale soltanto per le ipotesi in cui questi siano strumentali a obiettivi di rigenerazione urbana, da intendersi – secondo l’accezione preferibile, nella perdurante assenza di una definizione normativa a carattere generale – come riferita a qualunque tipologia di interventi edilizi che, senza prevedere nuove edificazioni, siano intesi al recupero e alla riqualificazione di aree urbane e/o immobili in condizioni di dismissione o degrado.
2.4. Quanto al regime degli edifici vincolati ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, si è già sottolineato che la soluzione adottata dal decreto-legge n. 76/2020 per assicurare la loro tutela è stata quella di escludere che possano qualificarsi come ristrutturazione edilizia gli interventi comportanti una loro demolizione e ricostruzione non solo nei casi in cui ne sia modificata la sagoma (come previsto nella disciplina previgente), ma anche nei casi di mutamenti del sedime, dei prospetti e delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Sotto tale profilo, il regime degli edifici in questione si atteggia in modo “speculare” rispetto a quello degli edifici non vincolati, nel senso che ciò che per questi ultimi ricade nella definizione di ristrutturazione comporta invece per i primi l’applicazione del regime delle nuove costruzioni.
Altrettanto non può dirsi per gli edifici ubicati nelle zone omogenee A di cui al d.m. n. 1444/1968 e in zone a queste assimilate dai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici ovvero nelle aree comunque di particolare pregio storico o architettonico, atteso che in questi casi l’equiparazione voluta dal legislatore al regime degli edifici vincolati è solo tendenziale, essendo espressamente fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici.
Tale inciso fa innanzitutto salva la validità di eventuali disposizioni di leggi regionali, che consentano, anche per le aree in questione, interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione anche con limiti meno stringenti di quelli individuati dall’art. 3 del testo unico per gli edifici vincolati ex d.lgs. n. 42/2004. Inoltre, la clausola di “salvezza” in discorso consente di ritenere ammissibili anche per gli edifici ubicati in dette zone le variazioni imposte dalla normativa antisismica, energetica, sull’accessibilità etc., ferme restando, come è ovvio, le valutazioni delle Amministrazioni competenti in ordine alla compatibilità degli interventi con il regime eventualmente previsto per i medesimi edifici.
La clausola conferma, altresì, la legittimità delle eventuali previsioni degli strumenti urbanistici (sia generali che attuativi) con cui si consentano, anche per le zone A e assimilate e per i centri storici, interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione entro limiti meno stringenti di quelli ordinariamente stabiliti dalla norma primaria in esame (fermi restando in ogni caso gli ulteriori limiti rivenienti da altre norme del testo unico).
3. Le nuove previsioni in materia di demolizione e ricostruzione e rispetto delle distanze.
Come evidenziato in premessa, le previsioni contenute nel comma 1-ter dell’articolo 2-bis del testo unico vanno lette nel contesto della disposizione in questione, che è specificamente intesa a disciplinare i casi in cui siano oggetto di demolizione e ricostruzione edifici preesistenti che risultino “legittimamente” ubicati rispetto ad altri immobili in posizione tale da non rispettare specifiche norme in materia di distanze (ivi comprese quelle contenute nel d.m. n. 1444/1968), di guisa che non ne sarebbe consentita l’edificazione ex novo. In questi casi, il primo periodo del comma in esame ha chiarito che la ricostruzione è possibile – in sostanza – in deroga alle norme in questione, e quindi col mantenimento delle distanze preesistenti se non è possibile la modifica dell’originaria area di sedime e purché l’edificio originario fosse stato “legittimamente” realizzato. Al fine di verificare la legittima realizzazione dell’immobile preesistente, soccorre la previsione dell’articolo 9-bis del Testo unico, anch’essa inserita dal decreto-legge n. 76/2020, laddove è indicata la documentazione da cui ricavare lo “stato legittimo” di un edificio (di regola consistente nel titolo edilizio sulla base del quale esso è stato realizzato, ovvero da quello relativo all’ultimo intervento che ha subito).
È importante rilevare che la previsione è testualmente riferita ad “ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici”, e quindi indipendentemente dalla ascrivibilità degli interventi alla categoria della ristrutturazione edilizia o a quella della nuova costruzione, nonché – a fortiori – nella prima ipotesi da quale sia il regime autorizzatorio in concreto applicabile.
Il secondo periodo, poi, aggiunge che in questi casi sono consentiti gli “incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento”, anche fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, purché sia sempre rispettata la distanza preesistente. In considerazione del suo tenore letterale, questa previsione deve intendersi come riferita non a qualsiasi incremento volumetrico, che possa accompagnare l’intervento di demolizione e ricostruzione, ma solo a quelli aventi carattere di “incentivo”, ad esempio perché attribuiti in forza di norme di “piano casa” ovvero aventi natura premiale per interventi di riqualificazione.
Tanto premesso, il terzo periodo del comma in esame – oggetto della novella apportata con il decreto-legge n. 76/2020 -, lungi dall’avere un carattere di principio riferibile alla totalità degli interventi di demolizione e ricostruzione, costituisce manifestamente una specificazione delle previsioni precedenti in relazione all’ipotesi in cui gli interventi qui considerati riguardino edifici siti nelle zone omogenee A o in zone assimilate a queste dai piani urbanistici comunali, ovvero nei centri e nuclei storici consolidati o in aree comunque di particolare pregio storico o architettonico.
Per queste ipotesi, il legislatore ha posto un’ulteriore condizione per l’applicabilità delle disposizioni dettate dal medesimo comma (e, quindi, perché la ricostruzione dell’edificio possa avvenire nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti e possa fruire degli eventuali incentivi volumetrici nei limiti anzi detti): e cioè che l’intervento sia contemplato “esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale”. Ancora una volta, la ratio della previsione risiede nell’esigenza di assicurare una maggior tutela al valore d’insieme delle aree soggette allo specifico regime delle zone A e dei centri storici, escludendo che all’interno di esse gli interventi di cui al medesimo comma 1-ter dell’articolo 2-bis possano essere direttamente realizzati dagli interessati e stabilendo invece che essi debbano inserirsi nella più generale considerazione del contesto di riferimento che solo un piano particolareggiato può assicurare.
Peraltro, anche in questo caso il legislatore si fa carico di far salve “le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti”, e quindi la facoltà che le Amministrazioni preposte alla pianificazione del territorio, nei rispettivi ambiti di competenza, possano dettare prescrizioni diverse e anche meno rigorose per l’effettuazione degli interventi in discorso, tenuto conto dello specifico contesto preso in considerazione.
Nonostante il riferimento testuale agli strumenti di pianificazione “vigenti”, la disposizione deve essere intesa non come una semplice salvezza delle eventuali previsioni urbanistiche difformi in essere alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 76/2020, ma come un rinvio generale al potere di pianificazione esercitabile in ogni tempo dalle amministrazioni competenti.
Infine, in relazione al richiamo conclusivo ai “pareri degli enti preposti alla tutela” (anch’essi fatti salvi dalla disposizione in esame), si osserva che, con tale inciso, il legislatore ha voluto semplicemente ribadire la necessità, laddove risultino vincoli insistenti sui singoli edifici o sulle aree interessate dagli interventi, di acquisire il parere delle Autorità preposte e non già introdurre un nuovo vincolo legale esteso a tutte le aree cui la previsione è riferita.
Paola De Micheli
Fabiana Dadone
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